Sono contenta di essere in Africa e  della vita che ho scelto di fare, ho vissuto e vivo come io voglio, e non tornerei indietro perché  rifarei lo stesso percorso.

Quando ero giovane facevo parte degli scout, ed era nostro compito aiutare il prossimo.

Andavo con un'altra mia amica a trovare una persona molto malata che non si poteva muovere ma sul letto aveva tutto un sistema di fili che gli permettevano di aprire la porta, e di essere un minimo autosufficiente. Era un uomo che aveva voglia di vivere, ed io mi chiedevo sempre come faceva ad accettare la vita nello stato in cui si trovava.

Le anziane del mio rione mi fermavano spesso per parlare ed io li ascoltavo, non avevo il coraggio di dire loro che avevo fretta che la mamma mi aspettava.

D'altronde se ho scelto di fare l'infermiera dovevo amare il prossimo, non potrei mai fare un lavoro che non amo; non so proprio se i miei mi approvavano:  col tempo forse hanno accettato che lavorassi nell'ospedale e quando poi ho deciso di partire in missione deve essere stato uno shock per tutti.
Quando sono arrivata in Africa, eravamo due volontarie io e  Mariucciona  che per tutto il percorso non faceva altro che fotografarmi (facendomi assumere delle pose da vamp), poi mi ha confessato che si era dimenticata di mettere il rullino.                                                  

Mi ha colpito il colore vivo del Kenya, colori pieni di luce, ti toglieva il fiato la natura, mi sembra di rivivere il momento, una giornata fantastica, il monte Kenia (nella foto qui a lato ndr) era visibile per tutta la strada  che abbiamo percorso sino alla missione. Sento ancora il calore sulla pelle del sole. Le volontarie che dovevamo sostituire non ci hanno voluto subito nella missione per cui  ci hanno spedite via: Mariucciona a studiare il kikuio  in un'altra missione ed io  a fare un po' di tirocinio  in un ospedale  della Consolata. E' stato un periodo bello: Padre Leonel, colombiano, mi portava in giro nei vari villaggi, la dottoressa Palao peruviana mi ha fatto conoscere tanta gente, e alla sera si giocavano interminabili partite a carte. Le suore e i padri missionari erano persone eccezionali, aperti al dialogo, non ti facevano mai sentire un' intrusa, e le suore anziane ti raccontavano quando erano arrivate loro con la nave e dopo usavano i carri trainati dai buoi, mica come noi che c'era l'aereo e poi la macchina.

Ho scoperto che le mamme usavano l'uomo bianco come minaccia  per spaventare i bambini, per cui prima che i bambini ti si avvicinassero ci voleva del tempo: Di una cosa mi sono resa conto, chi lasciava l'Italia con dei problemi di certo non li risolveva venendo in Africa. l'Africa riacutizza i problemi non li risolve. Prova ad immaginare di essere sempre in una stanza con le stesse persone, con le stesse cose e parlare di quasi niente… dopo un po' ogni cosa ti da' sui nervi.

Io avevo il dispensario, andavo via alle 8 chiudevo alle 5, alle 6 era già buio, i momenti lunghi erano il sabato pomeriggio fino al lunedì mattina quando riprendevo il lavoro.

Per fortuna andavo abbastanza d’accordo con Mariucciona e spesso si usava la domenica per fare la conoscenza con gli altri volontari e ci si scambiava le esperienze maturate nel periodo.
 Io ho impiegato tantissimo ad ammettere che è stata la fede a portarmi lì, ho lottato tantissimo ma alla fine mi sono resa ed ho accettato la presenza di Dio.

Una cosa strana, quando facevo il tirocinio come infermiera avevo una amica che continuava a dirmi che lei si preparava per andare a lavorare con suo fratello sacerdote che era in missione, e questo mi procurava tanta malinconia e una strana sensazione ebbene sono finita io a lavorare proprio con suo fratello. La gente mi ha sempre accettata molto volentieri, se per caso andavo nel mercato locale ebbene mi trovavo il cesto piena di frutta e non volevano che pagassi, mi imbarazzava tantissimo tanto che io non sono più andata a fare la spesa.

Quando ho finito il mio contratto a Nguvio (sede della missione triestina in Kenia), continuavo a frequentare il dispensario una volta al mese dietro insistenza dell'infermiera triestina. Un giorno ho scoperto che lei dava fuori le cartelle mediche perchè trovava noioso metterle via, ebbene ho preso le altre cartelle e le ho bruciate. Si è presentato un anziano e mi ha detto che potevo bruciare tutte le carte che volevo ma non avrei mai potuto bruciare il lavoro che avevo fatto con e per la gente.

Momenti di tristezza ce ne sono stati tanti, guai se non avevo la mia famiglia e amici dietro che mi spronavano, più di qualche volta il rialzarsi era difficile, ma la loro fiducia in me era tanta che non potevo  tradirli, sono loro che mi mancano più di tutto.

Ma ogni mattina appena apro gli occhi ringrazio Dio che ho ancora un giorno davanti a me per portare a termine il lavoro che ha programmato per me.  (Maria Truglio)

 

(Nell'immagine in alto a destra lo Stato del Kenya e più in basso a sinistra la Bandiera del Kenya)